Quanti romanzi abbiamo letto che menzionavano la peste nera? Sono tantissimi, ricordo, per esempio Camus con l'omonimo romanzo.
Arrivata dall'Asia nel 1300 questa epidemia si propagò per tutta l'Europa decimando la popolazione, bambini, donne, uomini, vecchi, non c'erano case e paesi dove non ci fosse almeno un morto.
Venivano contagiati sia i dottori che cercavano di curare i malati, sia gli addetti allo smaltimento dei cadaveri e degli oggetti appartenuti agli infettati.
Sembrava l'apocalisse, non esisteva nessun modo per cercare di salvarsi. Alcuni, i più, ricchi, tentarono la via di salvezza abbandonando le città per ritirarsi in paesini isolati ma venivano raggiunti da questo terribile male un incubo, sembrava la fine.
In quei tempi c'era tantissima ignoranza, il sapere era per pochi eletti, in mano agli uomini di fede e pochi altri, perciò tanti considerarono l'epidemia come una punizione mandata da Dio per la vita troppo depravata. Il terrore della malattia portò linfa per far riaccendere il fervore religioso al punto che in Francia e in seguito in tutta Europa, riprese vita il movimento penitenziale, i Flagellanti. Coloro che aderivano per cercare la salvezza eterna avrebbero dovuto far parte di questo movimento per almeno 33 giorni, in corrispondenza agli anni di Cristo. Queste persone camminavano per le strade e pubblicamente si percuotevano il corpo con un bastone dal quale pendevano tre corde con grossi nodi attraversati da spine di ferro molto appuntite. A volte si impiantavano talmente a fondo nella carne che riuscivano a toglierle solo dopo vari tentativi.
Ma oltre ai flagellanti ci furono anche violenze contro gli ebrei considerati i veri colpevoli di questo flagello.
La peste si presentò in vari periodi e lo studio di questo bacillo è avvenuto solo nel 1894 ad opera di Alexandre Yersin. Le vie di trasmissione sono due la pelle e i polmoni. La peste bubbonica avviene per contagio via pelle, mentre quella più cruente è la polmonare primaria che, come avviene per il raffreddore, si trasmette attraverso la cavità rinofaringea, quindi per via aerea.
Per quanto riguarda il primo tipo accade che una volta che sono morti i topi infetti le pulci della peste si trasferiscono in massa all'uomo, infatti l'essere umano appartiene alle 370 specie potenziali di ospiti. L'infezione avviene in quanto la pulce sopravvive anche circa un mese in assenza di un ospite. Solo il freddo può aiutare perché in un ambiente dove la temperatura è al di sotto dei dieci gradi questo animaletto cade in uno stato di rigidità.
Il bacillo della peste bubbonica rimane in incubazione da uno a sei giorni, dopo il morso della pulce. Sul punto del morso appare una necrosi blu-nerastra, in seguito, passati altri tre giorni, questa zona si gonfia e inizia una purulenza, quindi si gonfiano i linfonodi; a distanza di una settimana attacchi di mal di testa potenti , febbre e spossatezza generale. Dopo sembra ci sia un miglioramento ma in effetti la barriera linfatica ha ceduto e l'infezione entra nel circolo sanguigno. Si ha così la setticemia che nella maggioranza dei casi porta alla morte mentre ill fisico presenta pustole, tumefazioni ai gangli linfatici, i famosi bubboni pestosi, disturbi digestivi, allucinazioni, vertigini e delirio.
La peste primaria invece ha un periodo di incubazione molto più corto, uno o due giorni, ed è caratterizzata da ansia, affanno e asfissia, dovuta alla distruzione del tessuto polmonare. Si arriva generalmente alla morte. In certi casi si muore dopo poche ore come riferì Boccaccio nel Decamerone nell'introduzione alla prima giornata:
[...] nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, [...] le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide [...] E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.
Il particolare è stato che durante questa epidemia ogni valore morale, come la solidarietà, la cura e l'altruismo, vennero meno. I malati venivano abbandonati al loro destino e se non morivano di peste cedevano per fame e sete, come ben continua Boccaccio:
E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.
maggiori responsabili di questo flagello furono considerati i topi ma da una recente ricerca, avvenuta a Londra durante gli scavi per la costruzione di una linea metropolitana, hanno svelato che in effetti non furono i topi ma gli uomini a essere veicolo di trasmissione.
L'agenzia Public Healt England ha condotto esami approfonditi su alcuni corpi trovati nello scavo a Clerknwell, vicino Londra.
Grazie alla conoscenza odierna del genoma hanno comparato una parte di DNA del batterio estratto dai denti di un corpo e lo hanno confrontato con il genoma del virus odierno, quello che in Madagascar ha provocato 60 morti. Al confronto gli studiosi hanno appurato che il ceppo antico non è più virulento di quello moderno anzi è quasi uguale. Secondo l'analisi perciò il morso di queste pulci non possono aver provocato un'epidemia così vasta la vera causa è che la peste del trecento fosse polmonare e propagata dalle secrezioni delle persone infette.
Molte delle persone morte presentavano gli stessi sintomi ossia malnutrizione, rachitismo. IN quel tempo lo standard di vita era asai misero fame sporcizia erano la compagnia quotidiana e sembra sia stata proprio la situazione vitale la maggior causa.
Ben 75 milioni di persone perirono. La fotografia all'inizio fa vedere un uomo, un medico, che indossa una maschera.
L'abbigliamento dei medici era una tunica nera lunga fino alle caviglie, guanti, e una maschera a becco lungo. Dentro al becco venivano messe sostanze balsamiche, era una sorta di respiratore e aveva due buchi per gli ochhi coperte da vetri e due buchi per il naso, così da respirare. Il miscuglio delle sostanze balsamiche era ottenuto da fiori secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, canfora, chiodi di garofano, aglio e spugne imbevute di aceto.
Oltre come salvaguardia da un contagio l'altro scopo era quello di attutire gli olezzi dei malati, considerati causa scatenate della malattia. Per visitare i pazienti i medici usavano delle canne, così non li toccavano.
Per coloro che desiderano approfondire vi rimando a "Peste nera" di Leonardo.it, e il sito di Scienze di repubblica.it.
Se invece desiderate ecco qua dei video da YouTube:
La peste nera
La peste del XIV secolo di History Channel
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