Buon giorno oggi vorrei parlare di Eutanasia, un argomento che ha suscitato grandi dibattiti.
Non voglio però parlare se sia giusto o no decidere di terminare il proprio percorso di vita ma voglio farvi leggere una lettera che mi è arrivata via mail da parte di Mina, con change.org, moglie di Piergiorgio Welby.
Prima di iniziare a parlare di lui vorrei parlarvi della mia esperienza personale.
Nel 1998 è nato il mio secondo figlio e nello stesso anno la mamma di mio marito è morta per la SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia totalmente invalidante. Ricordo quando la nonna Dora mi disse che era da un po' di tempo che aveva dei disturbi alquanto strani, tipo non riuscire più ad afferrare un oggetto o dimenticare determinate cose o, infine, la strana sensazione che provava nel compiere determinati movimenti.
Quando decise di indagare con visite più approfondite le venne diagnosticata la SLA.
Fu una vera botta per la sua famiglia ma anche per me perché, vivendo in un luogo dove non conoscevo nessuno e il mio compagno stava via tantissime ore, lei era il mio punto focale: era diventata la mia seconda mamma, visto che la mia era lontana chilometri!
Di mio decisi di informarmi per vedere cosa fosse questa malattia, quali cure erano disponibili e cosa si poteva fare.
Non era la mia mamma, quindi, non potevo intromettermi nelle scelte dei suoi cari perciò mi sono messa da parte e ho atteso e guardato l'evolversi di questa situazione che, vi giuro, non è per nulla umana.
Infatti mentre altre malattie danno la possibilità di riuscire ad interagire con il mondo che ci circonda, questa rende la persona che ne è colpita un vero vegetale, soprattutto se non naviga nell'oro e non può permettersi certi supporti.
Non parliamo poi degli aiuti da parte dei comuni o dello Stato che praticamente sono inesistenti!
Oltre alla disperazione e alla fatica dei parenti che seguono e curano il malato la parte più triste è proprio per colui che ne è affetto.
Non ci sono parole per descrivere gli sguardi, solo quelli le erano rimasti, che aveva la nonna. A volte qualche lacrima le rigava il viso ma lei non poteva dire ciò che pensava, che provava, che desiderava perché la SLA, praticamente, distrugge ogni capacità di movimento e tutto il corpo si ferma in un' immobilità atroce e l'unica parte che ancora reagisce è il cervello.
Quando nacque Federico lo portai da lei e riuscii a fatica a metterlo in braccio per farle vedere e sentire il suo nuovo piccolo nipotino e lei riuscì solo ad alzare una pupilla verso di me e verso il piccolino e poi una lacrima le bagnò il viso. Non poteva fare altro. Trascorreva le giornate ferma su una sedia a rotelle a guardare ma non poteva parlare, ridere, piangere , non riusciva a mangiare, infatti le veniva iniettato un liquido direttamente nello stomaco. Per respirare usava una mascherina ossigenata. Lei, donna che nella sua esistenza si è presa cura di tutti svegliandosi alla mattina prestissimo e lavorando fino a sera ad un certo punto fu costretta ad un'immobilità imposta che forse lei non avrebbe mai scelto.
Per lei quell'agonia è durata poco, il cuore ad un certo punto si fermò e si liberò di quel corpo che ormai era solo una prigione.
Ma non tutti però muoiono in poco tempo e questa situazione allucinante si protrae per molto, troppo tempo.
Dopo questa esperienza ho deciso che se mai dovesse capitare a me desidererei che tutto finisse presto, il prima possibile.
L'uomo è un animale sociale ha bisogno per il suo equilibrio psicologico, di interagire con il mondo e sembra che questa malattia, immobilizzando ogni muscolo, colpisca e distrugga proprio ciò di cui noi abbiamo più bisogno.
Chi sostiene che non è giusto terminare prima la propria esistenza perché Dio ha deciso così, forse non vuole provare a mettersi nei panni di queste persone.
Il problema è il carattere. C'è chi è così forte e così credente che riesce a superare anche questo, ma coloro che sono differenti? Perché, mi chiedo, dover a tutti i costi protrarre una situazione se chi la sta subendo non la vuole?
Per me è giusto, visto che non siamo tutti uguali e non la pensiamo all'unisono, che ogni persona possa, in certi frangenti, decidere di "staccare la spina".
Ed ora uno sguardo al signor Welby e alla sua lotta, prima di pubblicare la lettera della moglie.
Il signor Piergiorgio prima che la malattia prendesse il sopravvento su ogni cosa era un attivista politico, pittore, poeta e soprattutto promotore della lotta per l'autodeterminazione. A soli 16 anni gli viene diagnosticata la sclerosi e da qui inizia il suo lungo percorso di malato, da un lato, ma di attivista dall'altro. Egli ha convissuto e conosciuto profondamente questo male che lo ha accompagnato per oltre cinquant'anni del suo cammino. Ad un certo punto, è il 2006, non è più riuscito a sopportare la prigione del suo corpo e così ha chiesto di poter "staccare la spina", scrivendo anche una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. (la risposta di Napolitano) L'anno precedente scrive un libro con un titolo eloquente del suo desiderio "Lasciatemi morire" (recensione libro), dove desidera spiegare le ragioni della decisione di terminare il calvario che ha vissuto troppo a lungo:
"Vorrei che i sogni perduti o abbandonati al mattino vicino al dentifricio, o quelli traditi per vigliaccheria o per calcolo cinico o per timore degli altri, ritrovassero la strada e rimanessero l miio fianco per farmi compagnia. E vorrei morire all'alba insieme a loro..."
Ed ecco ciò che chiede oggi la moglie che dal giorno della morte di suo marito che ha amato, consolato, curato e seguito per tutto il cammino, ha abbracciato e portato avanti la battaglia sull'autodeterminazione.
LA VITA E' UN'ALTRA COSA
(Così diceva a sua moglie Mina, poco prima di morire il signor Piergiorgio Welby)
"Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso.
Morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attiva delle funzioni biologiche"
Il medico che accolse la richiesta di aiuto a morire interrompendo la ventilazione meccanica, Mario Riccio, fu accusato di omicidio e poi venne prosciolto.
La situazione oggi nella nostra nazione non è migliorata e tutti coloro che aiutano a far morire un malato terminale consenziente, rischia fino a 12 anni di carcere. E' stato approvato l'articolo 32 che proclama quanto segue:
"Nessuno deve essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, una legge che non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona."
Chi, insieme alla signora Mina, sta combattendo per far approvare una legge per l'eutanasia, non è a favore della morte, come si potrebbe erroneamente pensare ma è a favore di una fine dignitosa della persona sofferente. Così afferma l'associazione Luca Coscioni, "noi non siamo a favore dell'eutanasia, nessuno vorrebbe vedere i suoi cari morire prima dl tempo, ma ci sono a volte, situazioni dove una soluzione del genere è e rimane, l'unica via possibile e determinante."
Associazzione Luca Coscioni il cui omonimo fondatore è un malato di SLA
Campagna Change.org di Mina Welby e tutti coloro che chiedono il testamento biologico e una proposta di legge in favore all'eutanasia.
Anteprima del libro "Storia di una morte opportuna. Il diario del medico che ha fatto la volontà di Elby", Google libri
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