CAPITOLO TERZO
L'INFANZIA DELLA NONNA
Terra d'Abruzzo, madre di personaggi famosi come D'Annunzio o Benedetto Croce, Ovidio e Sallustio. Fino ad un certo punto la vita delle comunità locali era di tipo agro pastorale ma con l'unità d'Italia questa terra ha iniziato a vivere una situazione di crisi che porta almeno il quaranta per cento della sua popolazione a migrare prima al nord e, in seguito, verso altri Paesi in cerca di fortuna.
Purtroppo, come affermava Stefano Jacini, politico ed economista dell'ottocento, quella abruzzese era una realtà provinciale, legata al particolarismo locale che la rese nell'unità italiana, una delle più povere e depresse. La sua economia, di tipo agrario, era ancora ad uno stadio precapitalistico ed era ben lontana dalla modernizzazione. Poiché l'attività agricola era sita nelle zone al di sopra dei cinquecento metri era difficile riuscire ad apportare modifiche e variazioni: dal catasto agrario degli inizi del novecento risulta, infatti, che l'agricoltura era sviluppata in montagna con 12340 chilometri di terreno coltivato contro i 4198 della collina e praticamente nulla quella in pianura. Inoltre erano carenti le vie di comunicazione come quella ferroviaria. I macchinari erano scarsi e i proprietari terrieri non investivano sufficientemente così la produzione avveniva in maggioranza con il lavoro delle braccia. Nella provincia di Teramo, quella nativa della mia famiglia, era consuetudine la presenza della mezzadria dove esisteva un padrone che dava da coltivare ai contadini il fondo. Il proprietario terriero era il padrone e spesso i contadini instauravano con il latifondista un rapporto di totale sudditanza; egli era il padrone in assoluto. Si può quasi dire che la realtà era ancora molto vicina a quella antica feudale.
La famiglia paterna era latifondista, proprietari terrieri che governavano sulla vita e le sorti dei loro contadini.
Se desiderate vi consiglio di leggere l'articolo presente nel sito dell'Archivio Storico dell'Emigrazione Italiana dal titolo L'Abruzzo migrante dall'Unità d'Italia alla Grande Guerra.
La famiglia materna, invece proveniva dall'isola di Corfù.
In quella lingua di terra nel mezzo del mar Jonio, viveva la famiglia di origine della mia trisavola.
Anticamente fu anche un dominio della Serenissima dopo essere appartenuta a Bisanzio al Regno di Napoli e a Genova.
La sua posizione geografica è sempre stata invidiabile e ha reso l'isola molto appetibile.
Nell'età moderna è entrata a far parte della Repubblica delle Sette Isole Unite o Ionie sotto protettorato russo-ottomano ma con una guida italo/veneto-greca. Si autogovernò per sette anni quindi passò sotto protettorato inglese sino al 1864. Durante il regime fascista Mussolini la occupò fino al 1943. I corfioti italiani, poi, tentarono di farla annettere al regno d'Italia, per questo ci fu una terribile battaglia che si concluse con la disfatta dell'esercito italiano. Nel 1944 è entrata a far parte della Grecia.
Quando nel 1830 Giovanni Capodistria fu presidente della Grecia libera entrò in conflitto con un altro uomo politico molto importante per la popolazione delle isole unite, Petrobey o meglio Mavromichalis Petrov. Quest'ultimo fece parte della Filiki Eteria una società segreta che si adoperava per ottenere l'indipendenza delle isole e un governo fondato su nomine familiari. Fu proprio per tale ragione che Capodistria e Petrobey entrarono in conflitto. Tutti coloro che appoggiavano Petrobey dovettero, per aver salva la vita fuggire. Così, sembra che i miei trisavoli abbandonarono in tutta fretta la loro terra natia per approdare in Italia. Scelsero di stabilirsi in Abruzzo, precisamente nel teramano, in quanto la mia trisavola conosceva ed era corteggiata dal mio trisavolo, Giovanni, compositore, maestro di violino e direttore di musica. Egli si era recato varie volte in tournée anche a Corfù dove conobbe, innamorandosene, della trisavola Gabriella, si narrava che fosse una donna avvenente e di straordinaria bellezza al punto che, una volta divenuta moglie di Giovanni, per gelosia, fu costretta a condurre una vita di reclusione in casa. Non le era permesso di uscire e tanto meno di affacciarsi ai balconi. La nonna mi raccontava che la sua mamma era sempre chiusa in casa con le finestre ben bloccate e le tende tirate per farla stare lontana da sguardi indiscreti.
Dalla loro unione nacquero delle figlie tra cui nonna Egle detta Giannina.
Purtroppo morì molto giovane e la nonna non si ricorda bene il motivo. Il marito era un Don Giovanni e spesso circuiva giovani ragazze alle sue dipendenze. Una di esse rimase anche incinta. A quel punto intervenne il capostipite che obbligò il figlio scapestrato ad abbandonare tutto per trasferirsi in America così da non far circolare troppe chiacchiere. Giannina giunse a vivere a Roma presso una sua sorella, quella cui era maggiormente legata. Ma poiché non andava per nulla d'accordo con i parenti del marito decise di andarsene. Come città scelse Milano. Qui iniziò una nuova vita, conobbe il suo primo compagno, Giovanni, di origini toscana e si sposò.
Lei mi narrava che sino ad una certa età fu conosciuta con il nome di Giovanni. Suo padre , dopo due figlie, desiderava avere il fatidico erede che portasse avanti il cognome della famiglia e così alla sua nascita, era la terza, non accettò il fatto che la sorte gli avesse donato un'altra femminuccia. Decise, allora, di chiamare la nonna, in società, con un nome da maschio ed allevarla come se fosse un bambino. All'anagrafe era, invece, stata registrata con il nome di Egle.
Crebbe educata come un maschietto perciò le insegnarono a leggere e scrivere, a suonare il violino per seguire le orme paterne, infatti il bisnonno Giovanni era compositore e maestro di violino. Fu molto bravo e famoso. La nonna diceva che per tanti anni le melodie del suo papà vennero trasmesse anche per radio ma poi, per questioni di famiglia, furono ritirati tutti gli spartiti e vietata la pubblicazione, così le capacità del bisnonno finirono nell'oblio. Anche se tenne vari concerti, non solo in Italia ma anche all'estero sino in America, di Giovanni nessuno ne parla più. D'altronde a certe decisioni non si può fare nulla, alcuni parenti si arrogarono il diritto di sequestrare tutto il materiale ed oggi non risulta nulla del mio bisnonno. Fino al 1987 la città di Teramo aveva una via intitolata a lui e prima che venisse rimossa andai con la mamma per vederla. Effettivamente mi ha fatto abbastanza impressione leggere il nome di una via sapendo che quella persona, ricordata e magari menzionata da alcuni, era stato un mio avo!
Comunque oltre ad essere istruita le venne anche insegnata l'arte venatoria. Nonna diceva che trascorreva alcune ore ad esercitarsi a sparare, che le piacesse o meno. Il suo aspetto, fino al periodo dello sviluppo, venne mantenuto e curato come se fosse un maschio perciò da piccola non indossò abitini ricamati, non ebbe il viso contornato da lunghe chiome addobbate come la moda del suo tempo richiedeva. Lei si vestiva come se fosse stato un bambino e i suoi giochi, i suoi intrattenimenti ricalcavano le abitudini maschili.
Tutto andò liscio fino al suo sviluppo. Quando si iniziarono a vedere le forme femminili nacquero problemi e per non dare adito alle malelingue del paese venne mandata via , prima nella capitale e, in seguito, a Milano. Per vivere ricevette una rendita mensile e le vennero assicurati anche beni immobili e così da ragazza la nonna si trovò con maggior libertà di decisione e movimento rispetto alla media delle altre sue coetanee.
Dopo il suo matrimonio con Giovanni, un industriale toscano, nacquero due figlie.
Poiché la vita matrimoniale non si rivelò rosea i miei nonni decisero di separarsi, anche se a quell'epoca non esisteva ancora il divorzio. Nonna mandò la figlia maggiore a vivere in Umbria, a Pesaro, da alcuni suoi parenti. La seconda figlia, poiché ancora piccola, rimase a casa a Milano. In seguito Egle conobbe Mario, un lodigiano che viveva in Piemonte e che di professione era maestro di buone maniere per le famiglie aristocratiche. Egle e Mario si innamorarono ed iniziarono a vivere insieme. Dal loro rapporto nacque un'altra figlia.
Siccome si stava delineando il conflitto i nonni decisero di portare le figlie in un collegio svizzero così da non incorrere in pericoli.
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